Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 02/07/2017, a pag.8, con il titolo "Dopo la strage alle Olimpiadi di Monaco la Germania siglò un accordo con Fatah" l'inchiesta di Francesca Paci sul 'Lodo Moro'
Anche se è comprensibile l'imbarazzo delle nostre istituzioni di fronte alle rivelazioni dell'inchiesta di Francesca Paci - dove non è soltanto la Germania ad essersi sottomessa al ricatto dei movementi terroristici palestinesi - è preoccupante il silenzio di tutti gli altri mezzi di informazione italiani su quello che ci era sempre stato raccontato come un parto di qualche mente malata, in questo caso persino quella del presidente della repubblica Francesco Cossiga, classificato come 'matto' dopo che aveva rivelato l'esistenza di un patto segreto tra il governo Moro e al Fatah. Era invece tutto vero!
Continuiamo a porre la stessa domanda: quel patto è ancora in essere?
Ce ne fu un altro simile, tra la Rai e l'Autorità palestinese, in base al quale la Radio-TV di stato si impegnava a non diffondere mai notizie che potessero danneggiare l'immagine dei palestinesi. Firmato e controfirmato. Venuto alla luce, non poteva essere smentito. Sepolto però sì, tant'è che non viene mai ricordato in nessuna occasione.
Ecco il «Lodo Moro»
E' l'accordo tra il Fronte popolare per la liberazione della Palestina e il governo italiano. Nel patto, di cui hanno parlato sia l'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, sia Abu Sharif, il Fronte si impegnava a non commettere attentati in Italia e neanche a creare imbarazzo al nostro Paese. In cambio l'Italia lasciava che l'organizzazione palestinese trasportasse sul nostro territorio armi ed esplosivi e consentiva anche il transito di aderenti all'organizzazione diretti in altri Paesi europei. Secondo Abu Sharif «iI patto» era supervisionato dai servizi segreti italiani che
controllavano i loro spostamenti.
Ecco l'intervista di Francesca Paci a Abu Sharif, consigliere di Arafat
Francesca Paci Abu Sharif
Bassam Abu Sharif è uomo di molte parole. Fuma una sigaretta dietro l'altra con la mano a cui dal 1972 mancano quattro dita: sopravvissuto, afferma, a un'operazione del Mossad, perse però anche l'occhio e l'orecchio destro. All'epoca era il responsabile dell'informazione dei marxisti-leninisti del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Fplp), in seguito sarebbe diventato uno dei più ascoltati consulenti di Arafat. «E possibile che non dica tutto quello che so, ma quello che dico è tutto vero» ripete durante l'intervista in esclusiva rilasciata a La Stampa all'indomani dell'audizione alla Commissione parlamentare sulla morte di Moro. Dice che l'Italia fu l'unico Paese con cui il Fplp prese un impegno scritto di non belligeranza, il cosiddetto Lodo Moro. Dice che grazie a quell'accordo la nostra ambasciata a Beirut venne risparmiata dagli attentati in cui 35 anni fa morirono oltre 300 militari francesi e americani. E dice che sa di un rapporto simile voluta dalla Germania con l'organizzazione palestinese al Fatah dopo il massacro alle Olimpiadi del 1972 a Monaco.
Come nasce l'accordo che in Italia è noto con il nome di Lodo Moro?
«Le relazioni tra i palestinesi e l'Italia, intesa anche come istituzioni preposte alla sicurezza, iniziano nei primi Anni 70. C'era il sospetto che le Brigate rosse avessero rapporti con il Fplp il Appena trovato l'accordo, l'Italia iniziò a mandarci aiuti umanitari, ambulanze e medicine cui leader era George Habbash. All'epoca molti giovani venivano dall'Europa in Medioriente per incontrare noi che dopo la sconfitta araba del '67 avevamo iniziato la battaglia contro l'occupazione israeliana. Non ricordo i nomi dei tanti italiani ma ricordo i tedeschi Andreas Baader e Ulrike Meinhof. Venivano a migliaia. Li chiamavamo i turisti della rivoluzione».
Cosa facevano li con voi?
«Gli spiegavamo che per indebolire l'imperialismo bisognava affiancare noi nella lotta contro Israele. Oltre mille italiani frequentarono i nostri campi in Giordania tra il '69 e il'70. Erano campi di due settimane, si parlava di politica, si imparavano a smontare e rimontare le pistole o a sparare, soprattutto si spiegavano i pilastri della nostra rivoluzione. Alcuni divennero membri del Fplp, solo una piccola parte erano combattenti ma combatterono esclusivamente nelle file del Fplp e nelle nostre battaglie, mai nei loro paesi d'origine».
Perché questo rapporto speciale con l'Italia?
«Vennero da noi da tutti i Paesi. Ma l'Italia era geograficamente importante e aveva il più forte partito comunista occidentale, anche se il nostro maggior alleato non era il Pci bensì il sindacato. In quel contesto nascono le Br, ma la seconda generazione viene infiltrata: nel '71, diffidandone, Wadie Haddad, dice di voler avere niente a che fare con loro. Ed eccoci al 1972: attraverso dei giornalisti incontrammoa Beirut l'intelligence italiana, fui io il primo a vedere Giovannone. Giovannone era un patriota, voleva proteggere l'Italia. Iniziò a mandarci aiuti umanitari, ambulanze, medicine. Poi si mise a lavorare per ottenere un documento da presentare al suogoverno in cui il Fplp affermasse di non avere rapporti con le Br. Noi palestinesi non abbiamo mai avuto rapporti diretti né indiretti con le Br».
Fu un'idea di Giovannone?
«SI. Io proposi un documento firmato in cui il Fplp affermasse che non avrebbe mai messo a rischio la sicurezza dell'Italia e non avrebbe mai collaborato con chi lo facesse. Voi lo chiamate accordo ma in realtà fu una promessa scritta. Una copia per noi e una per voi, sarà stato l'inizio del 73. Non so a chi la diede Giovannone».
Perché Arafat non firmò?
«Io parlo per noi, affiancai Arafat solo nel 1987. Non so cosa facesse in quel momento Al Fatah e se Giovannone o altri parlassero con loro. So che Abu Iyad, il responsabile dei servizi segreti di Fatah, venne molte volte a Roma a incontrare capi della sicurezza». Il Fplp prese lo stesso impegno con altri Paesi europei?
«Solo con l'Italia. Nessun altro in Europa fece uno sforzo come Giovannone di venire da noi in quanto Paese. Io parlo per il Fplp. So che dopo Monaco la Germania instaurò un rapporto con Abu Iyad (Fatah, Ndr) per avere qualcosa di simile».
Cosa aveste in cambio dall'Italia?
«Ci accontentavarno degli aiuti umanitari».
Chi era il garante della vostra promessa in Italia?
«Nessuno, il garante era Habbash. Il suo impegno è stato sempre rispettato. Poi col tempo le relazioni sono diventate politiche, abbiamo iniziato a dialogare su piani diversi, parlavamo con Andreotti, Craxi. Nel frattempo, nel 1980, arriva la dichiarazione di Venezia con il riconoscimento dell'Olp che ci permette di aprire 50 uffici palestinesi del mondo: lo dobbiamo all'Italia».
Venezia può essere considerato un frutto dell'impegno preso da Habash e il Fplp?
«Sì. Inoltre in Italia c'era una forte opinione pubblica pro-palestinese. Furono gli italiani a mandarci informazione dell'invasione in Libano nel 1982».
Per questo in quegli anni l'ambasciata italiana, diversamente da quella francese e americana, non fu attaccata a Beirut?
«L'impegno a evitare azioni che colpissero l'Italia era a tutto campo, si sottintendeva che non avremmo colpito neppure interessi israeliani in Italia. E ovviamente comprendeva le ambasciate italiane. A Beirut dovemmo difendere anche fisicamente gli italiani». Rispettaste sempre l'impegno preso? Chi fece gli attentati alla sinagoga e a Fiumicino, nell'82 e nell'85?
«Noi, come Fplp prima e poi insieme a Fatah come Olp, rispettammo l'impegno al cento per cento. In quel momento in Italia agivano gli 007 iracheni, arabi, israeliani, gruppi palestinesi infiltrati come quello di Abu Nidal dopo la rottura con Fatah».
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