Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/05/2017, a pag. 7, con il titolo "Dalla Siria al Nord Europa. Una nuova rete del terrore per continuare a colpire", la cronaca di Marco Bresolin, Giordano Stabile.
Ecco l'articolo:
Marco Bresolin - Giordano Stabile
La rete europea di Salman Abedi si estende oltre i confini britannici. Ne sono convinti i servizi di intelligence che tengono sott’occhio i link tra le cellule jihadiste nel Vecchio Continente, in particolare sull’asse anglo-tedesco. La ragnatela del terrore si sta infoltendo proprio tra Germania e Regno Unito, non più solo nell’area franco-belga (che comunque resta una delle più dense). Chi indaga è convinto che l’attentatore di Manchester non possa aver agito da solo, per questo l’inchiesta si sta allargando oltre la Manica.
Un campanello d’allarme lo ha fatto suonare la presenza di Abedi a Düsseldorf, quattro giorni prima della strage al concerto di Ariana Grande. Non è ancora chiaro per quanto tempo ci sia rimasto, ma l’intelligence tedesca si è subito messa in moto per scovare eventuali complici. Si vuole fare chiarezza anche su un suo viaggio a Francoforte, nel 2015, ma i fari sono puntati più che altro nel Nordreno Vestfalia. Una zona ad alto tasso di radicalizzazione.
Qui, nel novembre scorso, una maxi-retata aveva permesso di arrestare cinque pezzi grossi legati all’Isis, tra cui quello che è considerato il «reclutatore numero uno in Germania», Ahmad Abdelaziz, detto Abu Walaa. Sempre a Dusseldorf aveva portato un’altra inchiesta di terrorismo, quella per gli attentati di Bruxelles del 22 marzo 2016: Samir E., un cittadino tedesco in contatto con il kamikaze Ibrahim El Bakraoui, aveva ricevuto sul suo cellulare un Sms con la scritta «Fine» tre minuti prima delle esplosioni. E non va dimenticato che, un mese prima degli attentati di Parigi, Salah Abdeslam era partito in auto per Ulm, dove aveva recuperato tre persone. Il fronte tedesco è da tempo sotto la lente. Uno dei suoi complici più famosi, Mohammed Abrini, l’uomo col cappello dell’aeroporto di Zaventem, si era invece mosso verso nord: le indagini hanno svelato che l’11 luglio del 2015 si trovava a Birmingham per incontrare Mohammed Ali Ahmed e Zakaria Bonfassil, che gli hanno fornito 3.800 euro utilizzati poi nella preparazione degli attentati.
Germania, Belgio, Francia, Regno Unito. La rete dei terroristi attivi nei quattro Paesi europei che hanno fornito il maggior numero di foreign fighter non ha una struttura ben definita, ma i punti di contatto sono numerosi. E questo perché le cellule che sembravano smantellate hanno saputo rigenerarsi in due modi: grazie ai «sopravvissuti», sfuggiti agli arresti, e grazie ai combattenti di ritorno. I viaggi dal Califfato verso l’Europa non si sono interrotti: un nucleo selezionato di foreign fighter sta tornando nei Paesi di origine per «risvegliare» le cellule dormienti.
A tirare le fila delle operazioni sono tre personaggi che sono sfuggiti ai raid mirati di americani e francesi in questi anni. Il numero uno è Abul-Hasan Al-Muhajir, cioè «lo straniero», che lo scorso autunno ha preso il posto del portavoce del califfo Mohammed Al-Adnani, e coordina sia propaganda che organizzazione di attacchi all’estero. Sotto di lui ci sarebbe ancora Abu Suleyman al-Firansi, nome vero Abdelilah Himich, capo dell’Amn al-Kharji, i servizi segreti esterni. Infine c’è Boubaker al-Hakim, franco-marocchino, anche lui dato per morto in un raid nel novembre 2016 ma pare ancora vivo: si occupa dell’addestramento dei foreign fighter europei.
Nel progetto del Califfato 2.0 sono stati divisi, secondo l’analisi dell’Atlantic Council, in tre categorie. Alcuni, più integrati, da disperdere in Siria e Iraq perché si uniscano ad altri gruppi jihadisti, compresa Al-Qaeda, e pongano le premesse per una controffensiva in Mesopotamia, come era già avvenuto fra il 2008 e il 2013. Altri, sempre di origine araba o asiatica, da inviare in Paesi «a rischio», come Libia, Tunisia, Egitto, Pakistan, per costruire futuri nuclei territoriali. Infine ci sono gli «operativi», i meglio addestrati agli attacchi terroristici e all’uso di esplosivo, da far tornare in Europa per ricostruire le cellule.
C’è però il problema dei controlli alle frontiere, che si sono intensificati. Per questo l’Isis cerca di aggirare l’ostacolo degli spostamenti fisici con la figura che gli analisti definiscono «pianificatore virtuale». È una colonna sempre più importante dell’Amn al-Kharji, che attraverso la Rete si occupa della ricerca di sostenitori in Occidente per trasformarli in «soldati del Califfato». E tiene veri e propri «corsi a distanza» sulla preparazione degli attacchi: modalità d’azione, scelta degli obiettivi, delle armi e sofisticati tutorial per la fabbricazione degli ordigni.
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