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Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 15/02/2017, a pag. 9, con il titolo "Israele non ha bisogno di fare pressioni. Su colonie e Iran finge moderazione", il commento di Michele Giorgio. Il consueto articolo di disinformazione di Michele Giorgio contro Israele. Il giornalista del Manifesto continua la fase di lutto stretto per l'elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, vedremo quali altre menzogne e faziosità scriverà dopo l'incontro a Washington tra Trump e Netanyahu. Non stupisce la sua definizione di Israele come "potenza occupante". Ecco l'articolo:
Benyamin Netanyahu confermerà il sostegno che nel 2009 diede alla creazione di uno Stato palestinese — nella sua visione, a sovranità limitata e in porzioni di Cisgiordania — durante l'incontro che avrà oggi alla Casa bianca con Donald Trump? Su questo punto, il principio dei Due Stati, la destra israeliana ha discusso per giorni prima della partenza del premier per gli Usa. PIÙ VOCI, anche di alcuni ministri («Penso che tutti i membri del gabinetto si oppongano a uno Stato palestinese e il primo ministro Netanyahu fra questi. Alcuni di loro per ragioni ideologiche o bibliche ed altri per ragioni di sicurezza», ha detto ieri il falco Gilad Erdan), hanno esortato il primo ministro a non perdere l'occasione della presidenza Trump per fare retromarcia. Quella dichiarazione, spiegano, fu fatta in circostanze molto diverse, quando a capo della superpotenza americana c'era Barack Obama, che andava ripetendo di voler risolvere il conflitto in Medio Oriente e dare uno Stato ai palestinesi sotto occupazione militare. ORA C'È TRUMP che disconosce i diritti dei palestinesi e pensa a una soluzione che garantisca prima di ogni altra cosa gli interessi dello Stato ebraico. Se ne è discusso per ore durante la riunione settimanale del governo, domenica scorsa. Persino più della colonizzazione a tappe forzate della Cisgiordania e del possibile trasferimento dell'ambasciata Usa da Tel Aviv e Gerusalemme, che per ora resta nel congelatore a causa della contrarietà espressa dagli alleati arabi degli Usa. Netanyahu non ha chiarito cosa farà, ha solo invitato i membri del governo a ridimensionare le aspettative su ciò che Trump farà per Israele. Sull'atteso — e temuto dal presidente palestinese Abu Mazen—faccia a faccia di oggi alla Casa bianca pesano le improvvise dimissioni del consigliere Usa per la sicurezza nazionale Michael Flynn, alleato di Israele che a dicembre e gennaio aveva avuto colloqui con alti rappresentanti israeliani per organizzare il meeting. NETANYAHU SI PREPARA a seguire anche l'esito dell'audizione, davanti alla commissione affari esteri del Senato Usa, di David Friedman, l'alleato dei coloni israeliani scelto come nuovo ambasciatore nello Stato ebraico, che non ha ancora la certezza della nomina. Gli mancherebbe il voto di Paul Ryan, l'unico degli 11 repubblicani nella commissione che sta riflettendo sull'opportunità della nomina di un personaggio tanto sbilanciato a favore della destra estrema israeliana. «Netanyahu non farà retromarcia sullo Stato palestinese — spiega al manifesto Eytan Gilboa, analista del centro studi strategici Besa di Tel Aviv — Non tornerà indietro perché sa che questo danneggerebbe l'immagine di Israele e perché non ha bisogno di farlo. Trump vuole una soluzione e quella che ha in testa comunque è ad ampio favore di Israele, non certo dei palestinesi». GILBOA HA RAGIONE. Netanyahu punterà a coordinare le politiche israeliane nei territori occupati con la nuova amministrazione Usa, senza mettere sotto pressione Trump. E poi sul tavolo non c'è solo la questione palestinese. Il premier vuole che il presidente Usa renda la vita difficile all'Iran. L'accordo internazionale sul nucleare iraniano del 2015 Trump non può annullarlo, però Netanyahu spera nell'adozione di pesanti sanzioni contro Tehran. E poi si vedrà. Nessuno può escludere quell'azione militare contro le centrali atomiche iraniane minacciata da Israele più volte in passato e non appoggiata da Obama. Dipenderà da come si svilupperanno i rapporti tra iraniani e americani già tornati tesi in tre settimane, dopo l'ingresso di Trump alla Casa bianca. NETANYAHU NON CALCHERA' la mano neanche sulle colonie. Il presidente americano non le contesta, al contrario del suo predecessore, però nei giorni scorsi ha detto che Israele deve agire con moderazione. Chi invece non sta nella pelle e vuole costruire subito e tanto è il sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat. Ieri ha comunicato che il comune e il suo comitato edilizio «sono pronti» ad approvare la costruzione di «alloggi in ogni parte della città: ad est, ovest, nord e sud». Barkat a aggiunto di non avere dubbi che, dopo l'«importante incontro» tra Netanyahu e Trump, «sarà rimosso il bando che ha ridotto le costruzioni (coloniali, ndr) in città». «Siamo passati attraverso un difficile periodo di 8 anni nel corso dell'amministrazione Obama ma ora la Casa bianca di Trump — ha detto il sindaco — apre una finestra di opportunità per cambiare direzione». Per inviare la propria opinione al Manifesto, telefonare 06/689191, oppure cliccare sulla e-mail sottostante redazione@ilmanifesto.it |
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