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Da L'ESPRESSO del 31 gennaio 2009, riportiamo un'analisi di Paul Salem. La prospettiva di questo analista appare alquanto irrealistica: un Medio Oriente pacificato dagli interessi comuni di Stati che oggi sono preoccupati soltanto della loro sicurezza. Purtroppo, il regime iraniano e i suoi alleati (la Siria, Hezbollah, Hamas) non pensano affatto soltanto alla propria sicurezza: sono impegnati in una guerra a oltranza contro Israele le cui motivazioni non risiedono nella volontà di difendersi ( Israele non è un pericolo per nessuno), ma in un odio ideologico contro la stessa esistenza dello Stato ebraico. Ecco il testo: La guerra ha esacerbato le tensioni in tutto il Medio Oriente, ma ha altresì evidenziato l'urgenza per tutte le parti in causa, sia nella regione sia a livello internazionale, di procedere speditamente con i negoziati e con il processo di pace. Tra i residenti della Striscia, la perdita di vite umane e il degrado delle condizioni di vita sono stati devastanti. Nei prossimi mesi gli abitanti di Gaza dovranno fare il possibile per rimettere in sesto le loro vite in condizioni di sicurezza. Hamas non è uscito vittorioso da questo scontro armato, ma la popolarità dei suoi avversari di Fatah è crollata. Hamas probabilmente nell'immediato interromperà il lancio di razzi contro Israele per concentrarsi sul tentativo di sconfiggere Fatah nelle elezioni parlamentari e presidenziali che dovranno prima o poi essere indette, in quanto auspica di emergere dalla convocazione alle urne come il rappresentante privilegiato del popolo palestinese. Israele ha cercato di porre fine al lancio di razzi da parte di Hamas, di ricostituire le capacità di deterrenza delle proprie forze armate e di rifarsi del danno di immagine e delle perdite subite nella guerra in Libano del 2006 a beneficio di Hezbollah. La maggior parte degli israeliani ritiene che questi obiettivi siano stati ormai raggiunti. Oltretutto, Israele ha fissato con precisione la tempistica di questa guerra, sincronizzandone l'inizio con l'ultimo periodo in carica del presidente Bush e la fine con l'inaugurazione della presidenza Obama, consapevole com'è che quest'ultimo collocherà il processo di pace tra le sue priorità più impellenti, e avendo deciso di conseguenza di rafforzare la propria posizione militare prima che i colloqui prendano il via. Tra gli Stati della regione maggiormente danneggiati dalla guerra di Gaza c'è l'Egitto. Con un discorso incandescente durante i primi giorni del conflitto, il leader libanese degli Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, ha cambiato il dibattito pubblico, spostando l'attenzione dallo sdegno nei confronti di Israele e Stati Uniti a un furioso attacco al governo egiziano, accusato di tener chiuso il valico di Rafah al confine tra Gaza ed Egitto e di conseguenza di tenere in trappola oltre 1,5 milioni di palestinesi. Nasrallah ha istigato l'opinione pubblica egiziana a ribellarsi ed è arrivato al punto di rivolgersi direttamente all'esercito egiziano affinché si adoperasse per 'convincere' il presidente Mubarak a cambiare idea. L'Egitto ha interpretato tutto ciò come un tentativo appoggiato dall'Iran di innescare un cambiamento di regime al Cairo, e si è impuntato. Questo ha contribuito a un'escalation delle tensioni tra Egitto e Iran e ha ingigantito ancor più le divergenze esistenti tra le fila dei paesi arabi. L'Iran, al contrario, potrebbe aver tratto qualche vantaggio da questa guerra: mentre il suo alleato Hamas non è uscito bene dallo scontro a fuoco, qualora Hamas riuscisse a prevalere politicamente tra i palestinesi, Teheran potrebbe trarne beneficio. Con il suo forte ascendente sull'Iraq, con alleati come Siria, Hezbollah e Hamas, l'Iran ha predisposto un asse di influenza sempre più rilevante tutto intorno a Israele. La guerra a Gaza ha inasprito una situazione già molto complessa e ha messo in luce a quale livello i vari fili del conflitto mediorientale siano intrecciati tra loro. Gli Stati della regione hanno l'enorme responsabilità adesso di doversi attivare rapidamente per gestire una situazione sempre più pericolosa. Quanto all'Amministrazione Obama, essa dovrà immediatamente agire lungo tre direttrici: rendere possibile la vita e ricostruire le istituzioni palestinesi e quindi riprendere i negoziati di pace tra Israele e palestinesi. Poi incoraggiare il prossimo primo ministro israeliano a riprendere i negoziati di pace con la Siria. Infine promuovere serie proposte di trattative tra Stati Uniti e Iran. Forse, le atrocità della guerra di Gaza serviranno a portare l'attenzione regionale e internazionale sulla necessità di porre fine a questa guerra che dura da otto anni. Ogni Stato della regione ha a cuore la propria sicurezza: nella stabilità, nel riconoscimento reciproco e nel progresso economico vi sono invece molteplici interessi comuni, che soltanto col dialogo si potranno scoprire. traduzione di Anna Bissanti Per inviare la propria opinione all'Espresso cliccare sulla e-mail sottostante espresso@espressoedit.it |
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