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Corriere della Sera-Il Foglio Rassegna Stampa
10.01.2009 Chiesa cattolica e Islam- Europa e Vaicano remissivi
Le opinioni di Piero Ostellino, Rav Riccardo Di Segni, Bat Ye'Or

Testata:Corriere della Sera-Il Foglio
Autore: Piero Ostellino-Gian Guido Vecchi-Marina Valensise
Titolo: «Se la preghiera diventa antagonista - Dalla Chiesa anche reazioni ammiccanti all' Islam- Ci vediamo in piazza Dar-Al-Islam»

Sui rapporti Chisa cattolica e islam, pubblichiamo due servizi dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/01/2009. Il primo, l'opinione di Piero Ostellino a pag. 38, dal titolo " Se la preghiera diventa antagonista". Il secondo, un'intervista al rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, di Gian Guido Vecchi, dal titolo " Dalla Chiesa anche reazioni ammiccanti all' Islam ". Eccoli:

Piero Ostellino " Se la preghiera diventa antagonista".

Su Gaza ho ricevuto un diluvio di e-mail, per lo più di dissenso da ciò che ho scritto; sulle manifestazioni islamiche davanti al Duomo di Milano e a San Petronio a Bologna mi si chiede che ne penso. Faccio il punto.
La contabilità delle vittime israeliane e palestinesi è il rifugio degli ipocriti. Ben Gurion, alla nascita di Israele, aveva detto: «E' finita la caccia all'ebreo». Non fosse che uno solo. «Corre d'obbligo al principe di preservare e liberare, se può, i popoli suoi dagli insulti altrui», scriveva Ludovico Antonio Muratori già nel 1749 («Della pubblica felicità oggetto dei buoni prìncipi»).
Gli orrori della guerra non li si evita con i pater noster.
Ma con la pace e la democrazia. La bomba atomica su Hiroshima — che ci fa orrore — ha posto fine alla guerra ed evitato che morti e distruzioni fossero ancora maggiori.
Perché l'Organizzazione per la liberazione della Palestina e il mondo arabo hanno incominciato a battere sul tasto dello Stato palestinese solo dal 1967? E' per addossarne a Israele — che, da allora, occupa parte dei territori dove avrebbe dovuto nascere — la responsabilità del fatto che non sia nato. Ma, nei vent'anni precedenti, sarebbe spettato all'Olp e agli Stati arabi facilitarne la creazione. Il ritorno dei vecchi palestinesi — che avevano abbandonato i territori nel 1947-48 — è un falso problema, è il loro alibi. Molti sono morti da tempo; i loro discendenti sono stati lasciati marcire nei campi profughi e allevati nell'odio per Israele da Fatah — che li ha derubati degli aiuti ricevuti — e dagli Stati arabi che hanno voluto evitare rivendicazioni indipendentiste da parte di altre minoranze. Il popolo palestinese capirà che la pace con Israele è nel suo interesse il giorno in cui potrà avere partiti che se ne facciano liberamente portavoce. Per Hamas — apprezzata perché ha vinto le elezioni — vale il pensiero di Popper: il bello della democrazia non è che può eleggere anche un tiranno, ma che lo può cacciare.
Ha ragione il Papa che il «dialogo» fra cattolicesimo e Islam è impossibile; entrambi dovrebbero abdicare almeno a qualcosa della propria fede. Utile sarebbe, invece, un confronto sulle loro conseguenze culturali, sociali e politiche. Ma la scelta di tenere le manifestazioni davanti al Duomo di Milano e a San Petronio a Bologna non è stata casuale; è stata, invece, un atto calcolato di «antagonismo volontario ». Gli islamici hanno voluto dirci: «Noi siamo qua, e dovete fare i conti con noi». Si sono attestati su un pezzo del nostro territorio, più politico che fisico, in attesa di guadagnare altro terreno. Brutta cosa.
Non ne usciamo se non capiamo che non siamo noi a dover fare i conti con loro, bensì sono loro a dover fare i conti con noi. La società multirazziale è il luogo dove più etnie convivono pacificamente nel rispetto di un codice comune e condiviso. La società multiculturale è una pluralità di monadi chiuse, ciascuna delle quali ha un suo proprio codice interno, diverso da quello delle altre. E' ciò che vogliono i manifestanti di Milano e di Bologna.
Sarebbe la fine della nostra società, che ha a proprio fondamento etico-politico la tradizione giudaico-cristiana.


Gian Guido Vecchi - " Dalla Chiesa anche reazioni ammiccanti all' Islam ".

ROMA — «Pensi alle manifestazioni "per Gaza" fatte in gran parte da immigrati musulmani che hanno poi ostentatamente pregato davanti alle chiese di Milano e Bologna. Di fronte a una parte dell'Islam, non tutto, che si pone in maniera aggressiva rispetto al cristianesimo, le reazioni cristiane sono le più varie e qualche volta, paradossalmente, c'è una sorta di acquiescenza e di ammiccamento. Come se si volesse cercare di blandire l'avversario. A questo punto si chiederà: ma a lei che cosa gliene importa? ».
Più che altro, rabbino Di Segni: qual è il problema, per lei?
«Il problema è che del meccanismo dell'ammiccamento fa parte l'uso di strumenti antiebraici. Ed è per questo che sono allarmanti le parole del cardinale Martino su Gaza "come un campo di concentramento". È una frase che rientra in una tecnica antica, o meglio: potrebbe rientrare, c'è questo rischio. Vorrei dargli il beneficio dello scivolone linguistico...». Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, socchiude gli occhi e accenna un sorriso velato d'ironia. Manca poco al tramonto e all'inizio dello
shabbat, nel Tempio maggiore ci si prepara al riposo, tutt'intorno alla sinagoga il livello di attenzione è massimo. «Ma sa com'è, qui siamo sotto controllo perenne».
Lei che pensa di quelle piazze?
«Credo non sia solo una rozza provocazione, del tipo "questi spazi li occupiamo noi", ma una sollecitazione più sottile e simbolica che può perfino provocare l'invidia o la gelosia di altri mondi religiosi: così tanta gente, ordinata e schierata, ma guarda questi, voglio fare lo stesso! Col rischio di scatenare una perversa gara di religione».
Ma dove sta l'«acquiescenza»?
«C'è stata un grande riflessione di personalità diversissime, da Messori a Gad Lerner, sulla deriva religiosa nella potestà politica, la religione usata come espressione o addirittura sostituto della politica. Le reazioni nel mondo cattolico sono state le più diverse. L'indifferenza apparente del cardinale Tettamanzi, che forse vuole essere un segnale per abbassare il livello di tensione. Chi parla di una chiara provocazione. Altri che giustificano e sostengono. La cosa più grave l'ha detta Navarro-Valls: un segno di libertà. E invece, in luoghi così importanti per la civiltà cristiana, poteva essere un segno di guerra».
E quindi?
«Il rischio è che tra le legittime posizioni affiori questo ammiccamento paradossale. Come quando, davanti a eventi che coinvolgono i cristiani come vittime — perché a Gaza i cristiani sono vittime di Hamas — il vero problema viene eluso. È quello che hanno fatto i parroci cristiani davanti alle vessazioni continue subite da Hamas: rispondono accusando Israele di esserne in fondo la causa».
Vede questo rischio, nella Chiesa?
«Diciamo che certe cose vengono talvolta ignorate. Piangere su Gaza oggi non "costa" nulla, anche noi partecipiamo a questa angoscia. Ma quando piangere costava e c'erano i veri campi di sterminio, non c'erano dichiarazioni. Siamo tutti chiamati a pensare. Stiamo attenti: nel profondo psicologico ci può essere l'idea del perseguitato che diventa persecutore, uno dei tópoi più micidiali dell'armamentario antiebraico».
È giusto evocare gli anni Trenta dopo l'invito d'un sindacato al boicottaggio dei commercianti ebrei?
«Il confronto è inevitabile, anche se le proporzioni sono differenti. È bene mantenere alta la vigilanza e denunciare fin dall'inizio».
Per tornare alle piazze islamiche: che si può fare?
«Quando andai a parlare con il Papa, due anni fa, gli chiesi proprio questo. Come comportarsi nei rapporti con l'Islam? E lui rispose con grande saggezza: basta dialogare. Vero. Solo che bisogna trovare interlocutori. Con questi estremisti c'è poco da fare: per loro siamo nemici. Bisogna tentare di ragionare con gli altri».


 

Dal FOGLIO, l'intervista di marina Valensise a Bat Ye'Or, l'autrice di "Eurabia ", esperta di rapporti fra islamismo e mondo occidentale, il titolo è " Ci vedremo in piazza Dar- Al -Islam "

Bat Ye’or è uno pseudonimo, significa la Figlia del Nilo, e non è nemmeno il primo che l’ideatrice del concetto di Eurabia ha deciso di darsi: il primo fu Yahudiya Masriya, l’Ebrea egiziana, scelto nel 1971 per pubblicare il suo primo libro sugli ebrei d’Egitto. “Fu una scelta di identità”, dice oggi Bat Ye’or parlando al telefono dalla sua casa in Svizzera. “Avevo rotto col mio passato. Fuggita con tutta la mia famiglia dall’Egitto, nel 1957, riparai a Londra come apolide. Non avevo più niente”. Oggi invece quello pseudonimo è la prova che in Europa viviamo ormai in stato di “dhimmitudine”, altro termine che lei stessa ha coniato, col contributo del presidente libanese Gemayel, per indicare il prevalere della legge islamica che ai “dhimmi”, i non musulmani, ebrei e cristiani, imponeva speciali esenzioni in cambio di un tributo, al costo però di umiliazioni di ogni tipo. “Da tempo viviamo in Europa in una condizione imposta da leggi straniere. Chi scrive di islam oggi in Europa è costretto a proteggersi, a nascondere la sua identità, a rinunciare alla libertà di parola, in violazione delle nostre stesse leggi. E’ un’aggressione alla quale ci rifiutiamo di rispondere, ma se andrà avanti così rischiamo di essere troppo deboli per sopravvivere a un conflitto di civiltà legato alla nostra stessa identità”. La sharia si insinua nel Vecchio continente, e non da ora secondo Bat Ye’or. La massa di musulmani genuflessi in ordine geometrico militante sul sagrato del Duomo di Milano o di San Petronio a Bologna sono per lei l’ultima plateale conferma della perdità di identità dell’Europa. “I musulmani agiscono in totale violazione delle leggi e dello spirito europeo. Pregano apertamente per Hamas invocando la distruzione dello stato di Israele. In principio, dopo la Shoah, in Europa nessuno ha il diritto di auspicare la scomparsa dello stato ebraico. Ma i musulmani – o meglio quegli estremisti che scendono in piazza per bruciare la stella di David e invocare Allah akbar, considerano l’Europa come Daral- Islam, come terra di sottomissione Il loro odio contro lo stato ebraico rientra in un più largo spettro ideologico e politico, che da secoli alimenta l’odio verso i popoli del Libro, i non musulmani, nutrendosi della mentalità del Jihad, anche se purtroppo viene incoraggiato dagli stessi politici europei”. Davanti alla metamorfosi delle piazze europee in luogo di fede e militanza politica jihadista, la prima responsabilità dunque è dei nostri politici: “Hanno creduto che l’odio antisraeliano si sarebbe rivolto soltanto contro Israele. Non hanno capito che quell’odio, invece, era diretto contro l’occidente e avrebbe finito per distruggere la stessa Europa. Quando l’islam arriva e dice che Gesù era un profeta musulmano, come pure Abramo, Mosé, David e Salomone, e tu non puoi difenderti con le tue leggi e i tuoi principi, finisci per soccombere e accettare il tribunale della sharia come hanno fatto gli inglesi: così invece di integrare in Europa gli immigrati di religione musulmana, finisci per islamizzare l’Europa”.E se uno le domanda come mai i politici europei abbiano agito così, Bat Ye’or torna alla tesi sua famosa che ha spinto Niall Ferguson a riconoscere: “Nessuno meglio di lei ha attirato l’attenzione sul carattere minaccioso dell’estremismo islamico. Un giorno gli storici giudicheranno profetico il termine Eurabia, da lei coniato”. I politici europei sanno benissimo cosa succede, dice Bat Ye’or. “Hanno ambasciate, spie e agenti a sufficienza per conoscere la mentalità islamica molto meglio di noi, e i problemi del rigetto delle altre culture. Ma non vogliono la guerra e per evitarla, di fronte a fenomeni come il jihad e il terrorismo, l’hanno prima negata, poi si sono alleati con quelli che li volevano distruggere. Hanno preteso, come ha ammesso di recente il senatore Cossiga, che il governo italiano, ai tempi della Democrazia cristiana, collaborasse coi terroristi palestinesi. D’altra parte, l’alleanza con l’Organizzazione per la liberazione palestinese era un obiettivo stratdella stessa Organizzazione della conferenza islamica, l’Oci, organismo estremamente potente che riunisce 56 stati musulmani, e sul piano planetario ha la stessa influenza di un Califfato universale”. L’Europa, alleandosi con le stesse forze che la minacciavano, ha finito per schierarsi contro Israele. “Solo che adesso l’odio verso lo stato ebraico lavora contro l’essenza stessa del cristianesimo, che è uscito dal giudaismo mantenendo il Vecchio Testamento; e in questo modo distrugge in profondità la spiritualità cristiana”. La novità in tutta questa vicenda è che, davanti all’universalismo islamico, l’ecumenismo cattolico, per una volta, risulta del tutto impotente. Lo dimostra l’ambiguità della chiesa, mentre un alto prelato paragona liberamente la striscia di Gaza a un lager nazista. “Sul piano morale questo è un punto assai importante e ha ben ragione Sandro Magister a sottolinearlo” dice Bat Ye’or. “Sono vari fattori a spiegarlo non solo l’antisemitismo, ancora molto pregnante nella chiesa, sebbene il cristianesimo debba tutto al giudaismo; ma soprattutto il fatto che la chiesa, se vuole proteggere i cristiani che vivono in paesi arabi arretrati come l’Egitto, o fanatici come la Siria e l’Iraq, è costretta a prendere le distanze da Israele. Le comunità cristiane sono molto vulnerabili: vivono in ostaggio alle masse musulmane che li odiano e sono costrette ad accettare enormi umiliazioni e sacrifici pur di restare lì. E poi, altro fattore, ci sono i beni della chiesa, monasteri, conventi, seminari, che potrebbero venir incendiati o confiscati, mentre i preti cristiani che s’aggirano disarmati fra i musulmani, sarebbero facilissimi da aggredire. Nasce da qui l’atteggiamento di conciliazione che la chiesa mostra nei confronti del mondo musulmano. In fondo, non volendo affrontarne l’ostilità islamica, anche lei come l’Europa si protegge con la politica del dialogo, che però anche ne suo caso è fatta di negazione e concessioni”. Per molti in questo modo la chiesa, anziché favorire il processo di pace, lo rende più impervio. Il problema palestinese, sostegono costoro, si sarebbe potuto risolvere nel 1948, nel 1967, e nel 1973, se solo il Vaticano l’avvesse voluto. “Ma il Vaticano si è sempre opposto alla creazione di uno stato ebraico, sin dai tempi della dichiarazione di Lord Balfour”, dice Bat Ye’or. “La Giordania era disposta a discutere dei confini, e nel 1967 si poteva arrivare un accordo sui territori: Israele era pronto a cederle una parte della Giudea e della Samaria, e la questione palestinese sarebbe stata risolta. A questa soluzione, però, si è opposta la Francia, che con De Gaulle, dopo la fine della guerra di Algeria, per non perdere la presa sui paesi arabi, ha assunto un atteggimento estremista, mettendosi dalla parte dei partiti musulmani più radicali, e sostendendo l’Olp ha riconosciuto l’esistenza di un popolo che non esisteva prima. L’Europa ha voluto sostenere la guerra contro Israele e adottando la formula araba: ‘il terrorismo non si combatte sul piano militare’; così è potuta apparire come la protettrice del mondo arabo contro la politica americana e israeliana. Contro il terrorismo, voleva dire quella formula, non ci si può difendere con l’uso delle armi; dunque ci si deve sottomettere, cosa che la stessa Europa ha fatto nel 1973, e continua a fare. E infatti, ogni volta che Israele si difendeva dal terrorismo con le armi, l’Europa trasformava la vittoria militare di Israele in sconfitta politica. L’Europa ha preferito mantenere Israele insanguinata per impedirgli di mettere fine al conflitto. La comunità internazionale ha preferito conservare nell’odio antisraeliano le centinaia di migliaia di palestinesi che per quarant’anni ha mantenuto nei campi profughi, anziché distribuirli nel mondo arabo, con la speranza che un giorno distruggessero lo stato ebraico. E’ questa macchina infernale, costruita dai leader europei, che oggi spiega il sequestro jihadista del sagrato del Duomo e di San Petronio. Se non la riprendiamo in mano, finirà per portare l’Afghanistan dentro le mura delle nostre città”.

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