Efraim Karsh
ISLAMIC IMPERIALISM
Yale Univ. Press, 288 pp., $ 30
Gli studiosi che si interrogano sulle cause profonde dell’attuale sollevazione islamista globale hanno avanzato due interpretazioni opposte ma egualmente errate, scrive l’esperto di storia e politica mediorientale Efraim Karsh, docente al King’s College di Londra, nel suo recente libro “Islamic Imperialism: A History”. Secondo la teoria suggerita da Bernard Lewis, la violenza islamica nasce dal profondo senso di frustrazione patito da una civiltà consapevole della propria arretratezza e incapace di adattarsi al mondo moderno; secondo un’altra teoria, molto diffusa tra gli accademici, gli scrittori e i giornalisti, il terrorismo islamico costituisce una reazione alla politica estera occidentale di alcune frange estremiste, che non rappresentano l’islam nel suo insieme e gli insegnamenti autentici della religione musulmana. Entrambe le spiegazioni presentano quindi il rinascente jihad islamico come un fenomeno essenzialmente reattivo. Efraim Karsh, analizzando le guerre islamiche da Maometto ai giorni nostri, sostiene invece che la guerra santa non è una risposta a una crisi interna o a una minaccia esterna, ma rappresenta una spinta aggressiva che è sempre stata parte integrante della tradizione islamica: “Dal primo impero arabo-islamico della metà del settimo secolo all’impero ottomano, l’ultimo grande impero musulmano, quella dell’islam è una storia di continue ascese e cadute di imperi universali e di non meno importanti sogni imperialistici”. Gli intellettuali e gli esperti di politica internazionale sono abituati ad applicare le categorie di “impero” e di “imperialismo” esclusivamente alle potenze occidentali. Karsh dimostra però che l’idea di creare un impero islamico su scala mondiale ha ispirato fin dalle origini tutti i leader musulmani, come confermano le citazioni che pone all’inizio del suo libro: nel marzo 632 Maometto affermò, nel suo discorso d’addio: “Mi è stato ordinato di combattere tutti gli uomini fino a quando non diranno che non c’è altro Dio fuori di Allah”; nel 1189 il Saladino pronunciò parole molto simili: “Attraverserò questo mare per inseguirli nelle loro terre, fino a quando non rimarrà più nessuno sulla faccia della terra che non riconosca Allah”; quasi otto secoli dopo, nel 1979, l’ayatollah Khomeini si esprimerà nei medesimi termini: “Noi esporteremo la nostra rivoluzione in tutto il mondo, fino a che le grida ‘Allah è il solo Dio e Maometto è il suo Messaggero’ risuoneranno ovunque”; infine anche Osama bin Laden, nel novembre 2001, ha dichiarato: “Mi è stato ordinato di combattere gli uomini fino a quando non diranno che Allah è l’unico Dio e Maometto il suo Profeta”. E’ vero che anche l’occidente cristiano ha avuto le sue epoche di espansione imperiale, ma rispetto alla storia dell’islam vi sono alcune differenze fondamentali. Nei primi secoli il cristianesimo si è diffuso pacificamente, senza l’ausilio del potere politico e malgrado le persecuzioni. Gesù Cristo aveva concepito il Regno di Dio in senso spirituale e aveva tenuto distinta la sfera di Cesare da quella di Dio. La nascita dell’islamismo invece è inestricabilmente legata alla creazione di un impero mondiale, perché Maometto intendeva edificare, in nome di Dio, un regno terreno. Nel diciottesimo secolo l’occidente aveva già perso il suo messianismo religioso, e alla metà del ventesimo secolo ha abbandonato anche le sue velleità imperiali. L’islam invece, osserva Karsh, ha conservato la sua ambizione imperiale fino ai giorni nostri. Non è del tutto corretto, quindi, interpretare l’attentato alle Torri Gemelle di New York come una risposta alla politica estera statunitense. L’America costituisce l’obiettivo naturale dell’aggressione islamica, spiega Karsh, perché la sua posizione di preminenza mondiale rappresenta l’ostacolo principale alla restaurazione del califfato: “La guerra di Osama bin Laden e degli altri islamisti non è contro l’America in sé, ma è l’ultima manifestazione di un ricorrente sogno imperiale. Questa visione non è per nulla confinata ai gruppi fondamentalisti, come testimonia la vasta approvazione popolare che l’attentato dell’11 settembre ha riscosso nei paesi islamici. Nell’immaginazione storica di molti musulmani Osama Bin Laden non è altro che una nuova incarnazione del Saladino”. Tra gli obiettivi dei fondamentalisti non c’è solo la riconquista della terre che un tempo furono sotto il dominio musulmano, come Israele, la Spagna o i Balcani. L’enorme aumento della popolazione islamica in Europa avvenuto nell’ultimo decennio, grazie alla massiccia immigrazione e all’elevata natalità, rappresenta per molti musulmani il segnale evidente che anche paesi come la Francia e la Gran Bretagna, che non sono mai stati soggetti al potere islamico, fanno ormai parte della “Casa dell’islam” e sono quindi diventati legittimi obiettivi di conquista. In Francia, ricorda Karsh, una persona su dieci è musulmana, e pare che cinquantamila cristiani all’anno si convertano all’Islam; per diversi anni a Bruxelles il nome Muhammad è stato il più popolare tra i neonati; in Inghilterra le moschee sono più frequentate delle chiese anglicane. Le profezie sul trionfo finale dell’Islam in Europa sono ormai diventate un luogo comune tra gli islamici, e vengono espresse tranquillamente e alla luce del sole da imam che passano per moderati. Il mondo conoscerà tempi meno turbolenti di quelli attuali, conclude Karsh, quando si sopiranno definitivamente le secolari ambizioni imperialistiche musulmane: “Solo quando le elite politiche del medio oriente e del mondo musulmano si riconcilieranno con la realtà del nazionalismo statuale, rinunceranno ai sogni imperiali pan-arabi o panislamici, e vedranno l’islam come una fede personale e non come uno strumento delle proprie ambizioni politiche, gli abitanti di queste regioni potranno guardare ad un futuro migliore, libero da aspiranti Saladini”. (Guglielmo Piombini)
dal Foglio del 7 aprile 2007 |