Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 14/07/2019, a pag.1/21 l'editoriale del direttore Maurizio Molinari dal titolo "Quei silenzi davanti a Pompeo"
una delle tante immagini con tutti i politici italiani + il Papa
IC non si è occupata finora del cosiddetto scandalo Lega-Russia per due motivi: il primo riguarda l'amminsitrazione della giustizia in uno stato di diritto, quale ci ostiniamo a credere sia ancora l'Italia, dove spetta all'accusa fornire le prove di colpevolezza, non tocca all'accusato dover dimostrare di essere innocente. Il secondo, perchè l'analisi del direttore della Stampa è la prima a offrire un ragionamento che va oltre le ideologie che condizionano la maggior parte dei nostri giornali. Molinari non prende posizione, nè a favore nè contro, ma sottolinea come non sia possibile tenere il piede in due scarpe:
Noi aggiungiamo anche, che non è possibile ospitare a Roma il 'corruttore' Putin, come è successo pochi giorni fa, tutti, ma proprio tutti, in fila a farsi fotografare con lui, Papa compreso, e nello stesso tempo dimenticare come da Mosca sono sempre arrivati finanziamenti a un partito - non la Lega,che non esisteva- ma al PCI, che non ha mai dovuto risponderne, anche se era il segreto di Pulcinella. Il PD è soltanto il nome nuovo, ma l'erede di quel PCI è lui, perchè nessuno gli chiede se non si sente responsabile -almeno- della restituzione con interessi? Sia chiaro, non è una difesa della Lega! I soldi al PCI erano legali?
In attesa che la giustizia faccia il proprio corso sull’incontro al Metropol di Mosca dello scorso 18 ottobre, le rivelazioni di Buzzfeed pongono una questione politica: che cosa lega il vicepremier Matteo Salvini alla Russia di Putin. Trattandosi del leader della Lega, divenuto il partito di maggioranza relativa alle ultime europee, è un interrogativo che investe la credibilità del governo gialloverde rispetto agli alleati della Nato e dunque l’interesse nazionale del nostro Paese. La posizione di Salvini contro le sanzioni occidentali alla Russia per l’annessione della Crimea nel 2014, avvenuta violando la sovranità dell’Ucraina, è nota agli italiani dalla campagna delle politiche del 2018 e viene motivata con la difesa degli interessi dell’export in Russia ma l’entità di questi scambi non è tale da poter giustificare la crisi nei rapporti con Germania, Francia e Stati Uniti ovvero i nostri primi tre partner commerciali. C’è però un secondo aspetto del legame Salvini-Putin: la cultura politica ovvero il sovranismo basato su forza carismatica del leader, orgoglio delle radici etnico-religiose e poco rispetto per la democrazia parlamentare. Si tratta di un tassello a cui le capitali alleate guardano con grande timore perché indica una convergenza sui valori con il Cremlino protagonista, almeno dal 2016, di una politica di interferenze in Occidente al fine di gettare lo scompiglio dentro Nato e Ue, per indebolirle.D all’indomani delle elezioni italiane del marzo 2018 l’interrogativo degli alleati europei ed americani è se questo legame Salvini-Putin - basato su convergenze di valori politici ed evidenziato dal no alle sanzioni - sia reversibile ovvero possa coesistere con la guida di un Paese Nato e Ue. L’approccio iniziale è stato un cauto ottimismo. Pochi giorni dopo la formazione del governo Conte un alto diplomatico occidentale di passaggio a Roma spiegava “essere stati amici di Mosca non pregiudica nulla, possiamo benissimo lavorare assieme, basti ricordare cosa avvenne con Massimo D’Alema”. Ovvero, nel 1999 gli Usa e la Nato trovarono nel primo ex comunista arrivato alla guida del governo un interlocutore credibile perché, nonostante una storia politica e personale legata al Pci durante la Guerra Fredda, sul fronte dei Balcani non esitò a schierare l’Italia nella guerra del Kosovo a fianco degli alleati contro la Serbia di Slobodan Milosevic sostenuta dalla Russia. Arrivato a Palazzo Chigi, D’Alema fece prevalere l’interesse nazionale sul proprio passato comunista e ciò lo trasformò, nello spazio d’un mattino, in un credibile interlocutore nei Balcani dell’amministrazione Clinton e della Nato di Javier Solana. La partecipazione dell’aviazione italiana alla campagna aerea Nato del generale Wesley Clark suggellò la svolta di D’Alema. Non possiamo escludere che con tale precedente in mente, l’attuale Segretario di Stato Mike Pompeo abbia ricevuto Salvini poche settimane fa nel suo uffico a Foggy Bottom. D’altra parte nei mesi scorsi il vicepremier aveva ridotto sensibilmente la narrativa anti-sanzioni, mettendo piuttosto l’accento su Cina, Venezuela e Iran con toni e termini convergenti con le posizioni dell’amministrazione Trump. Ma quando Pompeo ha personalmente posto a Salvini la questione delle sanzioni alla Russia, la reazione è stata un atteggiamento a tal punto ambiguo da riproporre tutti i dubbi sul legame con Putin. Era questo il momento in cui gli americani ritenevano che Salvini avrebbe illustrato con chiarezza il proprio equilibrio fra Usa e Russia - bilanciando l’alleanza con Washington e l’amicizia con Mosca - aprendo sulle sanzioni Ue alla Russia proprio come fece D’Alema con l’intervento in Kosovo. Ma Salvini ha scelto un’altra strada e il risultato è stato rafforzare i dubbi di Pompeo sul suo legame con la Russia. In tale cornice dunque ciò che più colpisce della trascrizione dell’incontro del Metropol pubblicata da Buzzfeed non sono gli ipotetici finanziamenti trasversali - sui quali non vi sono al momento prove - ma le frasi di Gianluca Savoini, presidente di Lombardia-Russia, sulla volontà leghista di “cambiare l’Europa” per “avvicinarla a Mosca” perché “questi sono i nostri interessi”. L’interrogativo più serio che aleggia fra i nostri partner ed alleati è se questa visione di Savoini non sveli in realtà la volontà di Salvini di modificare la posizione internazionale del nostro Paese. È questa la risposta che Usa, Nato e Ue cercano dal leader della Lega. E la aspettano sul terreno delle sanzioni perché è la frontiera più calda del braccio di ferro con la Russia. Più a lungo Salvini tarderà nel chiarire tali dubbi, più la sua immagine internazionale ne risentirà.
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